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Storia

Incursioni dei Barbereschi all'Isola del Giglio

Le incursioni dei pirati saraceni hanno interessato gran parte della penisola italiana, dalla Sicilia alla Liguria. I famigerati “turchi” – così venivano chiamati indistintamente i popoli arabi – erano protagonisti di spietate e sanguinarie scorrerie nelle città costiere, razzie che spesso hanno dato origine ad affascinanti leggende. L’isola del Giglio fu colpito per secoli da innumerevoli incursioni dei barbareschi, la piùmemorabile avvenuta nel 1534 ad opera di Khayr al-Din, detto Barbarossa, fino all’ultimo attacco dei tunisini nel novembre del 1799 che mise fine alla scorribande piratesche.

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I corsari e il Giglio

Storie e leggende delle incursioni barbaresche

Nel 1558 l’Isola del Giglio fu venduto a Eleonora di Toledo, moglie di Cosimi I. e passava così al Granducato di Toscana. Una data importante per i Gigliesi, perché soltanto da allora l’isola ebbe la protezione di una guarnigione stabile contro le frequenti incursioni dei “barbaereschi”, la più memorabile delle quali era avvenuta nel 1534 ad opera di Khayr al-Din, detto Barbarossa, il quale, dopo avere devastato le mura allora esistenti (probabilmente pisani) e saccheggiato l’Isola, aveva portato con sé prigionieri circa 700 uomini. Si racconta che tra i 632 deportati c’era Rosa Pannilini che diverrà favorita di Solimano I, al quale darà un figlio.
La strage e la deportazione erano stati tali che l’Isola dovette essere ripopolata. E a ripopolarla furono per lo più i senesi, il cui nomi inconfondibili si distinguono anche oggi numerosi soprattutto al Castello, dove continua a vivere in maggioranza la stirpe originaria.

La presenza di una guarnigione salvò i Gigliesi da tante incursioni minori, ma la popolazione dovette sostenere ancora svariate battaglie e soffrire tanti lutti prima che fosse posta la parola fine alle imprese piratesche: parola che fu pronunciata nel 1799, quando circa duemila tunisini assaltarono il Castello.

Mamma li Turchi!

Il giorno 18 novembre 1799  circa duemila tunisini erano sbarcati al Campese senza incontrare resistenza. Gli uomini di guarnigione alla Torre del Campese, impressionati dalle grosse navi armate e dal gran numero di predoni, furono sopraffatti dalla paura e non si opposero come avrebbe dovuto per evitare una battagliai che avevano considerato perdente. Visto il comportamento della guarnigione, quei duemila iniziarono spavaldi la salita per raggiungere il Castello, certi che la popolazione per ottenere clemenza, si sarebbe messa alla loro mercé.

Non fu così. I Gigliesi, tutti anche i vecchi, le donne e i bambini, erano determinati al combattere fino all’ultimo. I Tunisini, che si erano preparati ad una facile preda quando si resero conto delle difese apprestate furono sopresi. Tentarono un primo assalto, ma furono respinti. D’un tratto, così racconta la tradizione, avvenne un prodigio: I Gigliesi memori che il santo Patrono, San Mamiliano, già nel 1452 aveva infuso nei loro antenati la forza di respingere i Turchi, invocarono di nuovo il Santo portandone la statua in processione per le vie del paese. E sarebbe stato un paese distrutto e devastato se tanto improvvisamente quanto inaspettatamente non si fosse levato un vento di rara forza, che costrinse gli assedianti a tornare sulle loro navi che rischiavano di essere travolte.

San Mamiliano è tuttora il prottetore di tutta l’Isola del Giglio e viene festeggiato ogni anno il 15 settembre, anniversario della sua morte,  come santo patrono. Nella Chiesa di San Pietro Apostolo di Giglio Castello viene custodito l’ulna del braccio destro di San Mamiliano e qualche reperto abbandonato dai pirati durante l’ultimo attacco.

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